mercoledì 13 giugno 2018












Giovanni Falcone fu un magistrato italiano. Egli   fu assassinato nella strage di Capaci, il 23 maggio 1992, assieme alla moglie Francesca Morvillo, anch’ella magistrato,e a tre uomini, addetti alla sua tutela, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.
All’età di tredici anni, Giovanni Falcone,giocava a calcio nell’oratorio, dove conobbe Paolo Borsellino, con il quale si sarebbe ritrovato all’università e in magistratura.
Terminò il liceo all'età di 18 anni, nel 1957, con il massimo dei voti e si laureò, poi, con 110 e lode nel 1961. Falcone vinse il concorso in Magistratura nel 1964, a soli 25 anni. Nel 1965 diventò Pretore a Lentini, nel 1966 diventò Sostituto Procuratore e giudice presso il tribunale di Trapani carica, questa, che mantenne per 12 anni.A seguito del tragico attentato al giudice Cesare Terranova, il 25 settembre 1979, Falcone cominciò a lavorare a Palermo presso l'Ufficio istruzione. Il consigliere istruttore Rocco Chinnici gli affidò, nel maggio 1980, le indagini contro Rosario Spatola. Fu proprio durante questa prima esperienza che iniziò a formarsi il cosiddetto “metodo Falcone”, un innovativo impianto per l’istruzione dei processi di mafia, che utilizzava gli ordinari strumenti forniti dal codice adattandoli a una nuova visione del fenomeno mafioso. Il metodo Falcone troverà attuazione con l’istituzione delle Direzioni Distrettuali e dellaProcura Nazionale antimafia destinata a dare impulso al coordinamento investigativo. La stoffa di Giovanni Falcone fu subito chiara con l’esito del processo di Rosario Spatola, ma la vera svolta nelle indagini su Cosa Nostra avvenne con il pentimento di Tommaso Buscetta: il "boss dei due mondi". Il primo incontro con Falcone avvenne a Brasilia, dove Buscetta era stato incarcerato. Lì il giudice capì che il boss era disposto a collaborare. E così fu: il pentito rese dichiarazioni che si rivelarono fondamentali per l'istruzione del Maxiprocesso.
Durante le indagini, Cosa Nostra aveva fatto eliminare Beppe Montana e Ninni Cassarà. Il duplice omicidio costrinse Falcone e Borsellino asoggiornare presso il carcere dell’Asinara per poter finire di scrivere l'istruttoria del processo.Maxiprocesso che si chiuse in primo grado il 16 dicembre 1987 con 360 condanne, per un totale di 2665 anni di carcere e 11,5 miliardi di lire di multe da pagare a carico degli imputati.Per annientare una volta per tutte colui che aveva messo a repentaglio la sopravvivenza di Cosa Nostra, il 21 giugno 1989 alcuni “uomini d’onore” piazzarono 58 candelotti di esplosivo nei pressi della spiaggetta antistante la villetta al mare frequentata dal giudice; le bombe, presumibilmente controllate da un comando a distanza, non esplosero. All'epoca ciò fu attribuito ad un malfunzionamento del detonatore. Falcone capì subito che non era un semplice “avvertimento”, e soprattutto capì anche che ad organizzare l’attentato non furono solo i boss di Cosa Nostra: erano coinvolti anche apparati dello Stato e i servizi segreti. Dopo il fallito attentato all’Addaura, Cosa Nostra progettò la strage di Capaci.
Sabato 23 maggio 1992, Falcone stava tornando a Palermo, da Roma. Lo attendevano tre Fiat Croma blindate, con un gruppo di scorta sotto il comando dell'allora capo della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera.Le auto lasciarono l'aeroporto imboccando l'autostrada in direzione Palermo. La situazione pareva tranquilla, tanto che non vennero attivate neppure le sirene. Su una strada parallela, una macchina guidata da Gioacchino La Barbera si affiancò alle tre Croma blindate, per darne segnalazione ai killer in agguato sulle alture sovrastanti il litorale; furono gli ultimi secondi prima della strage.Otto minuti dopo, alle ore 17:58, una carica di cinque quintali di tritolo posizionata in una galleria scavata sotto la sede stradale nei pressi dello svincolo di Capaci - Isola delle Femmine venne azionata per telecomando da Giovanni Brusca, il sicario incaricato da Totò Riina. Falcone e la moglie, che non indossavano le cinture di sicurezza, vennero proiettati violentemente contro il parabrezza. L’Italia intera, sgomenta, trattenne il fiato per la sorte delle vittime con tensione sempre più viva e contrastante, finché alle 19:05, ad un'ora e sette minuti dall'attentato, Giovanni Falcone morì dopo alcuni disperati tentativi di rianimazione, a causa della gravità del trauma cranico e delle lesioni interne. Francesca Morvillo sarebbe morta anch'essa, intorno alle 22:00.Insieme allo scoppio della bomba di tritolo ci fu il terremoto.Lo stesso giorno dell'elezione del nuovo Presidente della Repubblica, a Palermo, nella Chiesa di San Domenico, si tennero i funerali delle vittime, ai quali partecipò l'intera città. I più alti rappresentanti del mondo politico presenti (Giovanni Spadolini, Claudio Martelli, Vincenzo Scotti, Giovanni Galloni) vennero duramente contestati dalla cittadinanza. Le immagini simbolo rimaste maggiormente impresse nella memoria collettiva furono le parole e il pianto della vedova di Vito Schifani.
«Io, Rosaria Costa, vedova dell'agente Vito Schifani -- Vito mio -- battezzata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato -- lo Stato... -- chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c'è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, però, se avete il coraggio... di cambiare... loro non cambiano ... se avete il coraggio... di cambiare, di cambiare, loro non vogliono cambiare loro...di cambiare radicalmente i vostri progetti, progetti mortali che avete. Tornate a essere cristiani. Per questo preghiamo nel nome del Signore che ha detto sulla croce: "Padre perdona loro perché loro non lo sanno quello che fanno". Pertanto vi chiediamo per la nostra città di Palermo che avete reso questa città sangue, città di sangue... Vi chiediamo per la città di Palermo, Signore, che avete reso città di sangue -- troppo sangue -- di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza e l'amore per tutti. Non c'è amore, non ce n'è amore, non c'è amore per niente.».
Il magistrato Giovanni Falcone ha offerto tutto se stesso a protezione delle libertà e dei diritti dei cittadini; conoscere gli atti relativi alla sua storia professionale significa, perciò, celebrare un servitore valoroso dello Stato, una personalità che la coscienza collettiva colloca nel novero dei simboli della legalità, insieme ad altre figure, altrettanto straordinarie, quale quella di Paolo Borsellino. La sua storia individuale diviene, per questa via, il paradigma di un assetto generale, rispetto al quale è necessario chiedersi, in questi ultimi 26 anni, quali passi avanti siano stati eventualmente compiuti e se il contributo di Falcone abbia avuto frutti nella vita dell’intera società. Interrogativi, questi, che sembrano riecheggiare nella sua celebre frase: “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”.  È il segno di un’eredità, lasciata dalla personalità, (ancora) viva e vivificante, di GiovanniFalcone.

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