mercoledì 13 giugno 2018


à        Progetto “Protezione civile in famiglia”promosso dall’Associazione Vigili di Protezione Civile:
5       58 alunni premiati




L’incontro a scuola con la Guardia di Finanza
Il 24 aprile di quest’anno, abbiamo avuto un incontro con la Guardia di Finanza.
Siamo scesi in Sala professori, dove ci hanno raggiunto due ufficiali in divisa.
Abbiamo assistito ad una proiezione di immagini e a delle spiegazioni sui principali reati  di cui si occupa la GF.
Tra questi in particolare la dottoressa che presentava e spiegava i loro compiti, ha parlato a lungo del traffico di stupefacenti e dell’evasione fiscale.
Siamo intervenuti in tanti su questi argomenti, che ci hanno interessato e appassionato.
Sull’evasione fiscale,  hanno mostrato video in cui venivano intercettati dei colloqui, finalizzati alla corruzione di Agenti di Polizia e di Finanza. In queste telefonate si parlava in codice e mi è sembrato che fossero le scene viste in un film: ma purtroppo è la realtà.
La conseguenza dell’evasione fiscale, che mi ha più impressionatoè che questo comportamento delinquenziale, sottrae risorse allo Stato, che così ne incassa di meno per i Servizi importanti, come quello Sanitario.
Siamo poi passati a parlare delle droghe.La legalizzazione  delle droghe leggere è un argomento che più di altri mi è rimasto impresso.
La legalizzazione è contrastata da personaggi importanti: molti ritengono che non sia una cosa buona da farsi. Io in merito ho chiesto alla Dottoressa della GF cosa ne pensasse Lei personalmente: se fosse a favore o contro. Lei ha dichiarato di essere contraria perché, anche se si parla di “leggere” il rischio di dipendenza è molto grave; io sono stato pienamente d’accordo con Lei.
Hanno mostrato un video su alcune situazioni in cui avveniva lo spaccio di droga, in un parcheggio tra ragazzi. Ci hanno fatto comprendere che la detenzione di droga è un reato, anche se non la usi personalmente  e che se vieni trovato in possesso di droga, sarai segnalato a vita.
Poi siamo andati in palestra per assistere ad un esempio del lavoro svolto dai Cinofili insieme ai loro cani: che costituiscono la cosiddetta Unità Cinofila
Gli Ufficiali, hanno simulato una situazione in cui in alcune valige si sospettava potesse esserci della sostanza stupefacente e il cane dolcissimo di nome ESCO, è riuscito a trovarla.
 I cani per svolgere questo vero e proprio lavoro vengono addestrati fin dai sei mesi d’età.
 Giocano con un manicotto, che ha odore di sostanze stupefacenti, ma non ne contiene affatto, perché è solo l’odore della droga che viene realizzato in laboratorio.
Le razze di cani più adatti sono: il Pastore tedesco in primo luogo, il Pastore belga e il Labrador.
Una volta che i cani hanno raggiunto un età tale da non poter più essere impiegati per questo lavoro, vengono ospitati a casa dell’Ufficiale con cui hanno lavorato.
Questo incontro mi ha molto coinvolto ed emozionato, perché ho conosciuto argomenti di cui non sapevo molto e perché ho capito che dobbiamo tutti collaborare per un Paese migliore.
                                                                                      Lucio Durazzo    classe  1aE


L’INCONTRO CON
L’ASSOCIAZIONE

Martedì 15 maggio, tutta la classe ha fatto un viaggio in un mondo considerato da molti non adatto a noi ragazzi; considerato ancora troppo distante dalla nostra visione delle cose: il mondo della MAFIA.
Non eravamo ancora arrivati in sala professori che già regnava tra noi un silenzio di tomba;di lì a poco i volontari dell’Associazione Libera ci avrebbero fatto scoprire chela mafia non riguarda solo i grandi, non è qualcosa che i ragazzi non possono comprendere ma,al contrario, è un fenomeno che si deve cominciare a conoscere fin da piccoli. La mafia, infatti, non coinvolge solamente gli adulti, spesso, anche i bambini, a volte ignari di ciò che realmente succede attorno a loro, ne sono partecipi. La mafia è “l’antistato” eppure, pare sia diventata una forma di governo, paragonabile al “governo” dei bulli a scuola, alla legge del più forte. Ma,a che pro? Certamente, la forza della mafia non risiede solo nel desiderio di facili guadagni, come pensano in molti, ma, piuttosto,nella bramosia di potere. Come scrive Antonio Nicaso, nel libro in cui spiega la mafia ai ragazzi, per definirla bastano tre parole: DELIRIO- DI – ONNIPOTENZA.
Ci è stato spiegato che Don Ciotti fondò Libera perché si chiese “Cosa posso fare io per aiutare questa società?” aggiungerei io -riprendendo le parole di Leonardo Sciascia - ormai in mano ad una “borghesia che non imprende, ma sfrutta soltanto”?
Noi dovremmo porci la stessa domanda e, vi dirò, che a quella stessa domanda ho trovato anche una risposta: abbattere l’indifferenza.
L’incontro con Libera ha fatto capire anche a noi ragazzi, uomini e donne del domani, che la mafia non è solo ciò che si legge sui giornali o si vede in TV, ma che è un gravissimo fenomeno criminale che, purtroppo, esiste nella realtà in cui viviamo ogni volta che non vengono rispettate le regole, ogni volta che assistiamo ad atti di prevaricazione, ogni volta che non denunciamo per paura di ritorsioni...
Io credo che la nostra società possa cambiare,ma ciascuno dei suoi cittadini deve avere davvero il coraggio di cambiare, di cambiare radicalmente i propri progetti scegliendo di vivere nella legalità e nel rispetto delle regole dello “Stato”, scegliendo di operare per il bene comune, scegliendo di percorrere la strada dellagiustizia.
Risultati immagini per libera contro le mafie logo
lICIA SANTONICOLA
CLASSE 1^b



LA MAFIA
Per definire la mafia, come scrive Antonio Nicaso, nel libro in cui spiega la mafia ai ragazzi, bastano tre parole: “DELIRIO - DI - ONNIPOTENZA”.
La mafia non è solo ciò che si legge sui giornali o si vede in TV, ma è un gravissimo fenomeno criminale che, purtroppo, esiste nella realtà in cui viviamo ogni volta che non vengono rispettate le regole, ogni volta che assistiamo ad atti di prevaricazione, ogni volta che non denunciamo per paura di ritorsioni...
Noi crediamo che la nostra società possa cambiare,ma ciascuno dei suoi cittadini deve avere davvero il coraggio di cambiare, di cambiare radicalmente i propri progetti scegliendo di vivere nella legalità e nel rispetto delle regole dello “Stato”, scegliendo di operare per il bene comune, scegliendo di percorrere la strada dellagiustizia.
















Giovanni Falcone fu un magistrato italiano. Egli   fu assassinato nella strage di Capaci, il 23 maggio 1992, assieme alla moglie Francesca Morvillo, anch’ella magistrato,e a tre uomini, addetti alla sua tutela, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.
All’età di tredici anni, Giovanni Falcone,giocava a calcio nell’oratorio, dove conobbe Paolo Borsellino, con il quale si sarebbe ritrovato all’università e in magistratura.
Terminò il liceo all'età di 18 anni, nel 1957, con il massimo dei voti e si laureò, poi, con 110 e lode nel 1961. Falcone vinse il concorso in Magistratura nel 1964, a soli 25 anni. Nel 1965 diventò Pretore a Lentini, nel 1966 diventò Sostituto Procuratore e giudice presso il tribunale di Trapani carica, questa, che mantenne per 12 anni.A seguito del tragico attentato al giudice Cesare Terranova, il 25 settembre 1979, Falcone cominciò a lavorare a Palermo presso l'Ufficio istruzione. Il consigliere istruttore Rocco Chinnici gli affidò, nel maggio 1980, le indagini contro Rosario Spatola. Fu proprio durante questa prima esperienza che iniziò a formarsi il cosiddetto “metodo Falcone”, un innovativo impianto per l’istruzione dei processi di mafia, che utilizzava gli ordinari strumenti forniti dal codice adattandoli a una nuova visione del fenomeno mafioso. Il metodo Falcone troverà attuazione con l’istituzione delle Direzioni Distrettuali e dellaProcura Nazionale antimafia destinata a dare impulso al coordinamento investigativo. La stoffa di Giovanni Falcone fu subito chiara con l’esito del processo di Rosario Spatola, ma la vera svolta nelle indagini su Cosa Nostra avvenne con il pentimento di Tommaso Buscetta: il "boss dei due mondi". Il primo incontro con Falcone avvenne a Brasilia, dove Buscetta era stato incarcerato. Lì il giudice capì che il boss era disposto a collaborare. E così fu: il pentito rese dichiarazioni che si rivelarono fondamentali per l'istruzione del Maxiprocesso.
Durante le indagini, Cosa Nostra aveva fatto eliminare Beppe Montana e Ninni Cassarà. Il duplice omicidio costrinse Falcone e Borsellino asoggiornare presso il carcere dell’Asinara per poter finire di scrivere l'istruttoria del processo.Maxiprocesso che si chiuse in primo grado il 16 dicembre 1987 con 360 condanne, per un totale di 2665 anni di carcere e 11,5 miliardi di lire di multe da pagare a carico degli imputati.Per annientare una volta per tutte colui che aveva messo a repentaglio la sopravvivenza di Cosa Nostra, il 21 giugno 1989 alcuni “uomini d’onore” piazzarono 58 candelotti di esplosivo nei pressi della spiaggetta antistante la villetta al mare frequentata dal giudice; le bombe, presumibilmente controllate da un comando a distanza, non esplosero. All'epoca ciò fu attribuito ad un malfunzionamento del detonatore. Falcone capì subito che non era un semplice “avvertimento”, e soprattutto capì anche che ad organizzare l’attentato non furono solo i boss di Cosa Nostra: erano coinvolti anche apparati dello Stato e i servizi segreti. Dopo il fallito attentato all’Addaura, Cosa Nostra progettò la strage di Capaci.
Sabato 23 maggio 1992, Falcone stava tornando a Palermo, da Roma. Lo attendevano tre Fiat Croma blindate, con un gruppo di scorta sotto il comando dell'allora capo della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera.Le auto lasciarono l'aeroporto imboccando l'autostrada in direzione Palermo. La situazione pareva tranquilla, tanto che non vennero attivate neppure le sirene. Su una strada parallela, una macchina guidata da Gioacchino La Barbera si affiancò alle tre Croma blindate, per darne segnalazione ai killer in agguato sulle alture sovrastanti il litorale; furono gli ultimi secondi prima della strage.Otto minuti dopo, alle ore 17:58, una carica di cinque quintali di tritolo posizionata in una galleria scavata sotto la sede stradale nei pressi dello svincolo di Capaci - Isola delle Femmine venne azionata per telecomando da Giovanni Brusca, il sicario incaricato da Totò Riina. Falcone e la moglie, che non indossavano le cinture di sicurezza, vennero proiettati violentemente contro il parabrezza. L’Italia intera, sgomenta, trattenne il fiato per la sorte delle vittime con tensione sempre più viva e contrastante, finché alle 19:05, ad un'ora e sette minuti dall'attentato, Giovanni Falcone morì dopo alcuni disperati tentativi di rianimazione, a causa della gravità del trauma cranico e delle lesioni interne. Francesca Morvillo sarebbe morta anch'essa, intorno alle 22:00.Insieme allo scoppio della bomba di tritolo ci fu il terremoto.Lo stesso giorno dell'elezione del nuovo Presidente della Repubblica, a Palermo, nella Chiesa di San Domenico, si tennero i funerali delle vittime, ai quali partecipò l'intera città. I più alti rappresentanti del mondo politico presenti (Giovanni Spadolini, Claudio Martelli, Vincenzo Scotti, Giovanni Galloni) vennero duramente contestati dalla cittadinanza. Le immagini simbolo rimaste maggiormente impresse nella memoria collettiva furono le parole e il pianto della vedova di Vito Schifani.
«Io, Rosaria Costa, vedova dell'agente Vito Schifani -- Vito mio -- battezzata nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato -- lo Stato... -- chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c'è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, però, se avete il coraggio... di cambiare... loro non cambiano ... se avete il coraggio... di cambiare, di cambiare, loro non vogliono cambiare loro...di cambiare radicalmente i vostri progetti, progetti mortali che avete. Tornate a essere cristiani. Per questo preghiamo nel nome del Signore che ha detto sulla croce: "Padre perdona loro perché loro non lo sanno quello che fanno". Pertanto vi chiediamo per la nostra città di Palermo che avete reso questa città sangue, città di sangue... Vi chiediamo per la città di Palermo, Signore, che avete reso città di sangue -- troppo sangue -- di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza e l'amore per tutti. Non c'è amore, non ce n'è amore, non c'è amore per niente.».
Il magistrato Giovanni Falcone ha offerto tutto se stesso a protezione delle libertà e dei diritti dei cittadini; conoscere gli atti relativi alla sua storia professionale significa, perciò, celebrare un servitore valoroso dello Stato, una personalità che la coscienza collettiva colloca nel novero dei simboli della legalità, insieme ad altre figure, altrettanto straordinarie, quale quella di Paolo Borsellino. La sua storia individuale diviene, per questa via, il paradigma di un assetto generale, rispetto al quale è necessario chiedersi, in questi ultimi 26 anni, quali passi avanti siano stati eventualmente compiuti e se il contributo di Falcone abbia avuto frutti nella vita dell’intera società. Interrogativi, questi, che sembrano riecheggiare nella sua celebre frase: “Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini”.  È il segno di un’eredità, lasciata dalla personalità, (ancora) viva e vivificante, di GiovanniFalcone.


Sabato 19 maggio, noi alunni della 3°F, abbiamo fatto una bella esperienza: abbiamo fatto una chiacchierata con il professore Antonio Bisogno, ex preside di un Liceo Scientifico di Cava de’ Tirreni su Danilo Dolci. Questi era un sociologo, educatore, poeta ed ha promosso varie lotte non-violente per l’acquisizione di alcuni diritti della popolazione siciliana, perciò fu chiamato il “Gandhi Italiano”.
Abbiamo conosciuto questa figura in seno al “Progetto Legalità”.
Prima che il Preside entrasse in classe abbiamo disposto l’aula con le sedie in cerchio e ci siamo seduti tutti. Quando è arrivato,anche lui si è seduto insieme a noi, poi si è presentato e ci ha chiesto i nostri nomi. Dopo ha fatto una domanda: “Cosa mi volete chiedere?”.
 Un ragazzo gli ha chiesto della sua professione ed un altro ragazzo perché ha scelto Danilo Dolci come figura da seguire.
Lui ci ha risposto che Danilo Dolci, come altri personaggi nei loro Paesi, quali Gandhi, Nelson Mandela e Martin Luther King, è stato promotore di diritti in Italia. Dopo aver risposto, si è girato verso di me, che ero alla sua destra, e mi ha chiesto che cosa volessi fare da grande. E lo stesso ha fatto con gli altri ragazzi. Dopo aver risposto ed averci stimolato alla riflessione con opportune domande, io e l’altro referente della legalità, ci siamo alzati e gli abbiamo fatto vedere il nostro Power Point su Danilo Dolci e la nostra poesia.
Lui le ha apprezzate molto, poi ci ha salutato e se n’è andato.
Sono rimasto molto colpito da questo incontro perché mi sembrava che il vero Danilo Dolci stesse vicino a me!